LeBron James all’età di 36 anni domina la NBA e, dopo 18 stagioni, è tra i principali candidati al titolo MVP della regular season. Statistiche e numeri alla mano ci dicono infatti che ancora oggi è indiscutibilmente il miglior giocatore di basket al mondo. Dando uno sguardo alla classifica dei passaggi vincenti della stagione 2019-20 ancora una volta in testa troviamo il nome di LeBron James. Lo scorso anno la vittoria in finale contro i Miami Heat gli è valso il quarto titolo in carriera e il quarto premio di MVP delle NBA Finals. Lebron James è così divenuto l’unico giocatore nella storia ad essere eletto a fine stagione miglior giocatore in campo con tre squadre diverse. Record che però non hanno saziato la sua fame di vincere. Qual è il segreto del numero 23 dei Lakers? Come viene spiegato in un articolo proposto da L’Insider, blog di Betway, che con delle speciali infografiche ha passato in rassegna punti, presenze e record di LeBron James, sicuramente la sua forza sta nel sapersi evolvere di continuo e di crescere, nonostante il tempo che passa.
Qual è il segreto di LeBron James?
Era il 2006 quando, nonostante una brutta partita e una prestazione da 3/13 al tiro in 43 minuti, i Cavaliers vinsero contro Milwaukee che non perdeva in casa da un mese. Il bottino di LeBron James fu di nove assist, cinque rimbalzi e soli 8 punti. Un dato che fece inevitabilmente scalpore se si pensa che fino a quel momento LeBron James in 270 partite NBA disputate non era riuscito a raggiungere la doppia cifra sotto la voce punti solamente in otto occasioni. Ora sono passati 14 anni da quella data e il numero 23 dei Lakers ha giocato più di 1300 partite e le gare in cui ha segnato meno di 10 punti sono rimaste otto. Numeri che dimostrano la sua costanza di rendimento e la sua capacità di essere determinante in ogni situazione. E che, soprattutto, lo rendono senza alcun dubbio il miglior giocatore NBA all’età di 36 anni e con alle spalle 18 stagioni. In grado di disputare 1030 partite di fila mettendo a segno almeno 10 punti.
Il confronto con altri giocatori NBA
Guardando la storia NBA è difficile trovare un termine di paragone e questo rende LeBron James sostanzialmente un unicum nel mondo del basket. Alla sua età infatti Michael Jordan si era ritirato da due anni dalla pallacanestro professionistica, dopo 15 stagioni. Kobe Bryant, che in media segnava oltre 22 punti, a 36 anni stava invece disputando la propria penultima stagione da professionista per poi alzare bandiera bianca dopo 35 partite per l’operazione alla spalla destra.
L’unico termine di paragone possibile per continuità e resa a 36 anni sembra essere il miglior realizzatore della storia NBA con 38.387 punti, quel record a cui ambisce LeBron James e che appartiene a Kareem Abdul-Jabbar. Nelle ultime sette stagioni da professionista per Abdul-Jabbar, che è primo nella classifica di titoli MVP vinti, non andò mai oltre i 23.4 punti di media. LeBron James invece sfiora i 26 punti di media e finora in questa prima parte di regular season non ha saltato nemmeno una partita.
La forza di LeBron James
L’assistente allenatore dei Boston Celtics nel 2007-2008, Tom Thibodeau, pur di cercare di fermare LeBron James, rivoluzionò il modo di difendere della propria squadra. L’unica soluzione per cercare di placare la sete di punti di James era infatti che tutta la squadra si occupasse di lui, perché raddoppi difensivi e accoppiamenti vari non bastavano. Nonostante la sua grandiosità, anche LeBron James, quel mix di forza e agilità, fisicità e tecnica, aveva, come tutti, dei limiti, di cui gli avversari iniziarono ad accorgersi: non aveva una predisposizione al passaggio, il tiro da tre punti era mediocre e non giocava volentieri spalle al canestro.
Però la forza di LeBron James risiede proprio nel saper adattarsi alle nuove dinamiche che la pallacanestro impone, nella capacità di evolvere il proprio modo di giocare. Se infatti il campione fosse rimasto quello dei primi anni, oggi sicuramente non riuscirebbe ad incidere come invece fa, dimostrando di sapersi sempre rialzare e di imparare dai propri errori. Come quando nel 2013 trionfò contro San Antonio proprio grazie al jumper dalla media distanza, che due anni prima i Dallas Mavericks lo avevano costretto ad usarlo, mandandolo al tappeto.